Intervista fatta alla Prof. Maristella Buonsante dalla giornalista Anna Puricella pubblicata su “Repubblica” il 15 ottobre 2020.
L’impatto psicologico della pandemia è difficile da quantificare. Il lockdown è stato una messa alla prova per la salute mentale, e dato che l’onda del Covid-19 sembra tutt’altro che appianata, gli effetti sul lungo termine non sono sempre prevedibili. Alcune cose, però, sono balzate agli occhi degli esperti: è cresciuta l’ansia, diffusasi anch’essa come un virus, e non sono mancate altre forme di disagio. Maristella Buonsante è psichiatra, psicologa e psicoterapeuta, ed è stata a lungo direttrice del Centro di Salute Mentale di Bari per l’Asl Metropolitana BA. I modi per contenere i danni, a suo avviso, ci sono. E anche per tentare di non “lasciare indietro” nessuno.
Prof.ssa Buonsante, qual è stato il primo impatto della pandemia sulle persone?
“Sicuramente c’è stato un aumento dei casi di ansia e depressione, attacchi di panico e disturbi ossessivo-compulsivi, derealizzazione e disturbo d’identità. Ma ricorderò come simbolo psichiatrico di questo periodo il disegno di un mio paziente, che ha avuto una breve Reazione Psicogena, con allucinazioni, derealizzazione e delirio persecutorio. Per lui il virus era causato dagli extraterrestri e me ne ha pure disegnato uno con occhi immensi e volto stranissimo. Era entrato in uno stato d’animo terrorizzato. Di solito la paura domina il quadro psicotico e questo spiega in re ipsa la facilità di scivolare in quadri psicopatologici in tempi di terrore pandemico. Anche l’incremento della sintomatologia ossessiva è spiegabile con le precauzioni meticolose che conosciamo, in sé motivate, come lavarsi spesso le mani (frequentissimo sintomo ossessivo), aumentare la distanza interpersonale, e indossare la mascherina (che in sé è elemento perturbante dell’identità). Sono misure che hanno una forte carica di ansia. Dirò di più, che far provare ansia, per il timore del virus, della sanzione, amplificata da una comunicazione martellante, è stato proprio lo strumento usato per indurre le persone a rispettare le regole.Non mi soffermo su quanto sia abituale il binomio potere/paura. E qui sembra giustificato usare lo strumento dell’induzione della paura, per la gravità della pandemia. Ma inevitabili saranno allora le cicatrici psichiche. Purtroppo l’ansia diviene eccessiva proprio in chi è già scrupoloso per forma mentis.
“Andrà tutto bene”, si diceva per incoraggiarsi agli inizi del lockdown. È stata una strategia sbagliata?
“Quel mantra è frutto di una cattiva comunicazione, “Andrà tutto bene” usato come un rituale scaramantico, in molte persone ha evocato il sentimento opposto. Ora, poi, si può dire che sembra un inganno, una truffa. Non è andato tutto bene e lo sapevamo tutti, che sarebbe andata così. “Tutto” addirittura! Gran parte della comunicazione – ritengo – era calibrata per cittadini-bambini, da spaventare prima e rassicurare dopo, in contemporanea! Inevitabile un effetto regressivo. Quanto è stato dannoso e ansiogeno un certo tipo di comunicazione confusa e oscillante, il caleidoscopio di opinioni di virologi ed epidemiologi, il bollettino serale. Tra le persone su cui la comunicazione agisce, c’è poi una parte che tende a interpretare per trovare un capro espiatorio. Dunque darà la colpa agli extraterrestri, a Soros o Bill Gates, al 5G, ai famigerati “poteri forti”. Ecco, correggere la barra della comunicazione potrebbe evitare tanta confusione. Negli scorsi mesi siamo stati davanti a uno schermo a ricevere notizie-bomba e coltivare scenari apocalittici, fra sirene delle ambulanze e megafoni della Protezione civile. Eppure si dovrebbe ricordare che proprio la sensazione di straniamento, di essere in mondo diverso, in uno scenario diverso, apre la porta all’angoscia, madre di tanti sintomi psichici. Usare un megafono risolve un problema d’informazione dei cittadini, ma ne causa altri venti. Tutti hanno pensato a comunicare, in pochi hanno pensato all’effetto sul ricevente”.
E infatti siamo arrivati ai No-mask.
“Come diceva Freud, opera la rimozione. Sono persone che usano massicciamente questo meccanismo psicotico, e dà la misura di quanto per loro sia insopportabile la realtà, non riescono a reggerne l’angoscia. Il terrore della pandemia, su cui si innesca la psicopatologìa post pandemica, ha molti livelli.
Sarà lunga, quali sono quindi i consigli per mantenere una “certa” stabilità mentale?
“Alcuni consigli sarebbero da dare a chi ci governa: devono correggere il tiro della comunicazione, cosa valida anche per i giornali e per chiunque abbia responsabilità di comunicazione di massa, influencer compresi. Dovremmo vivere questo momento come una fase di apprendimento, aiutare la gente a imparare – dunque con toni ben diversi – affinché un’esperienza negativa si trasformi in un patrimonio conoscitivo prezioso. Per conoscere meglio noi stessi e per le generazioni future. Inoltre bisogna riscoprire il corpo. Sono sempre stata contraria a fermare i runner, invece camminare, da soli, è un meccanismo antico che richiama la via di fuga che ci permette, per così dire, di allontanarci dal pericolo. È meglio che restare davanti allo schermo e vedere il bollettino delle 18 che era diventato un nuovo rito. Involontariamente, certo. Come si fa dunque ad avere meno ansia? Camminando e non ”ruminando” pensieri apocalittici, avendo risorse culturali, imparando dalla pandemia. Anche la musica è una grande risorsa, come lo è in questo caso l’iperconnessione, che ci permette di esplorare il mondo senza uscire di casa. E poi riguardare la propria casa; ho teorizzato lo “psicodesign”. La casa come strumento terapeutico. Anche un semplice cambio di colori aiuta, come mettere ordine. Ordinare è una potente azione terapeutica, in tempi difficili, come metafora del riordino interiore. Ci sono però altri problemi e altre persone da non dimenticare”.
Quali?
“Gli anziani chiusi nelle RSA, che non vedono parenti da mesi. Le restrizioni dei pazienti psicotici chiusi nelle strutture residenziali, pari a carcerati. Tornati in isolamento, privi anche di cani e supermercati e dunque di minime passeggiate. L’aumento delle cure virtuali senza contatto interpersonale con i terapeuti, per i pazienti già deprivati, scoraggiati alla frequenza dei Centri di Salute Mentale. Niente più attività di psicoriabilitazione, costruita con tanta fatica nella sordità istituzionale. Poche le visite. Si rischia di veder cancellato il lavoro psichiatrico di tanti operatori in decenni, a Bari come nel resto d’Italia: abbiamo lavorato per tirare i pazienti fuori dall’isolamento manicomiale e aiutarli a riannodare le reti di relazioni nel loro contesto, per la vita di tutti i giorni, fatta di piccole gioie ed eventi: il cinema, la pizza, la passeggiata, la chiacchiera, attività di arte, di teatro, di vela, di musica… e ora si rischia di tornare indietro. Noi sufficientemente sani non possiamo dimenticare chi è gravemente malato o solo. Se c’è malattia mentale, figuriamoci che effetto devastante può avere su queste persone vivere in condizioni già dure per tutti noi. Perdono la minima qualità di vita che abbiamo faticato tanto a ridare loro con la Legge 180.“
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