Premetto che ho curato più persone anche brillanti o di prestigio, imprenditori, dirigenti in pole position, professionisti, -ma non solo -che per episodi depressivi ( o disturbo bipolare) chiedono di stare meglio per un profondo vissuto di autosvalutazione e umore depresso. Tra loro qualcuno può essere meglio delineato con la Sindrome dell’Impostore. La psichiatria e la psicologia utilizzano spesso definizioni che colpiscono e sintetizzano i sintomi -più raramente l’eziopatogenesi – in modo efficace. Ma poiché il mio metodo è ampiamente integrato, psicofarmaci – al minimo efficace- e psicoterapia, il passaggio all’esame del dove, quando, come e perché è abbastanza rapido. Così affiorano vissuti antichi di autosvalutazione e, a volte l’inveterata convinzione di essere un giocatore che usa sistematicamente bluff, in più accezioni. E dunque di essere un/a bugiardo/a cronico che è fortunosamente riuscito a farla franca ma che ormai è vicino alla resa dei conti, alla chiusura del bilancio. Il mio amico Giovanni Pascucci- ordinario di Diritto privato, saggista originale all’intersezione di più campi del sapere- ne ha sintetizzato i capisaldi e ritengo interessanti le sue riflessioni e le sue conclusioni -benché non condivisibili se non in senso ironico –
“Confesso che non ne conoscevo l’esistenza fino a quando mi sono imbattuto, per puro caso, in un articolo di una rivista giuridica statunitense.
Sto parlando della “sindrome dell’impostore” (teorizzata per la prima volta nel 1978 dagli psichiatri Pauline Rose Clance e Suzanne Imes).
Tale sindrome descrive una condizione psicologica particolarmente diffusa fra le persone di successo, caratterizzata dall’incapacità di interiorizzare i propri successi e dal terrore persistente di essere smascherati in quanto “impostori”. A dispetto delle dimostrazioni esteriori delle proprie competenze, le persone affette da tale sindrome rimangono convinte di non meritare il successo ottenuto.
Pare ne soffrano Michelle Obama, il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Sonia Sotomayor, Tom Hanks e Serena Williams.
Ma secondo l’articolo, la sindrome colpirebbe molti studenti e studentesse delle facoltà di legge statunitensi e in generale i professionisti legali.
L’autore (fervente credente) formula alcuni suggerimenti che possono aiutare a vincere la sindrome.
Li riassumo così:
1. Tu appartieni. Se hai superato i difficili esami di ammissione alle law school vuol dire che meriti di essere li.
2. In quanto credente (l’autore, come detto, è tale) devi pensare che Dio ha voluto che tu fossi li: è la strada che ha scelto per te.
3. Non devi sentirti inadeguato, ma devi pensare che Dio ti ha dato il “talento” per essere alla pari dei tuoi colleghi.
4. Imita gli uccelli. Gli studenti di legge credenti non devono preoccuparsi, proprio come non lo fanno gli uccelli. “Guarda gli uccelli! Non sono preoccupati di cosa mangiare – non hanno bisogno di seminare o raccogliere o immagazzinare cibo. Il Padre li nutre. E tu sei molto più prezioso per lui di loro.” Preoccuparsi non ha mai aggiunto un’altra ora alla vita di una persona. Invece di preoccuparti, concentrati sul come puoi diventare il miglior studente di giurisprudenza e avvocato che puoi essere. Avvicinati al lavoro e allo studio con umiltà. Affronta ogni attività con una mentalità di crescita, il che significa che stai migliorando continuamente.
Ho appreso dell’esistenza di questa sindrome (e approfondirò l’affermazione secondo la quale colpisce significativamente i professionisti legali e gli studenti di legge, almeno negli USA).
Evidentemente mi sbagliavo nel pensare che il mondo è pieno di mitomani e di gente che è convinta di poter ricoprire qualsiasi ruolo di responsabilità pur in assenza di qualsivoglia competenza (impostori senza sindrome, insomma).” ( Questo ha scritto Pascuzzi)
Come ho già precisato è facile dunque intravedere più possibilità terapeutiche anche in strade alternative alla psicoterapia, ma questi suggerimenti – presi da una rivista giuridica e davvero mi sembra eccessiva la pregnanza statistica – davvero trascurano – a mio parere- l’essenza del problema. Ovvero
la cronicità della “doppia identità”.
La spiccata componente depressiva.
L’analisi della comunicazione ad alta ambiguità in cui il cosiddetto impostore è stato immerso. La probabilità che stia subendo un significativo gaslighting che calamita i precedenti vissuti.
Non può essere sottaciuta però la possibilità che realmente l’impostore non abbia i talenti per gestire al meglio grandi responsabilità. Anche questo va affrontato in psicoterapia che comunque deve promuovere la salute mentale del paziente ma non trascurare i risvolti anche distruttivi per la sua Comunità e deve contribuire a rimodellare vissuti e identità in modo realistico e non avere mera azione di “doping terapeutico”, di fragile etica ma anche risultati terapeutici effimeri
27
Feb