La psiche al tempo della precarietà

La precarietà  è insicurezza. Dipende solo dalle condizioni lavorative? No, è una condizione esistenziale che investe l’identità sociale (a sua volta già costruzione precaria, incompleta) e si riverbera su tutte le altre coordinate degli esseri umani. La persona senza lavoro non ha più la possibilità di costruirsi una storia, di dare un senso e soprattutto avere un progetto per il presente e il futuro della propria vita, dunque perde la possibilità preziosa di completare la propria identità.

Sulle tracce di Baumann  ricordiamo che questo status precario dell’identità è una verità che tende a essere usualmente velata, segreta. Ora non più.

Nell’illuminante saggio del marxiano Gallino, Scialanca illustra l’interessante ipotesi -lo sappiamo bene in psicoterapia, che le idee contagiano, possono guarire e possono far ammalare – del “contagio” fatto dall’idea-virus della “rimercificazione del lavoro”.

Scrive Gallino: «La concezione che il lavoro è un oggetto diverso e indipendente dalla persona del lavoratore»; e ancora: «Quando la giovinezza sarà passata […] i progetti di vita rinviati […] le esperienze professionali frammentarie dei lavori flessibili protratte per lungo tempo […] comporranno un curriculum dinanzi al quale il Responsabile delle risorse umane scuoterà mestamente il capo».

Taccio sulla filiazione della “managerialità” dalla psicoterapia sistemica, perché me ne vergogno.

Mi viene da dire che il nostro è un Paese d’identità fragile, precaria; e questa precarietà, caduti i veli sull’indebitamento legato al miracolo economico degli Anni del Dopoguerra, è ora per così dire interiorizzata. I nodi sono venuti al pettine.

Per ricordare quanto il lavoro sia centrale nella costruzione dell’identità, basta la Genesi. È lì che troviamo il lavoro come Ordine Divino. E noi donne, condannate “solo” a partorire con dolore, abbiamo compreso che occorreva avvolgere il Padreterno nel paradosso; oggi lavoriamo, anche. Dunque siamo doppiamente obbedienti e chissà, finalmente libere.

Dunque, la precarietà dell’esistenza a cui gli esseri umani tentano di sottrarsi sulla Terra (attraverso un faticoso adattamento e utilizzando tutte le armi della Doppia Elica, costretti alla creatività) pone la resistenza come condizione necessaria. Non dimentichiamo che l’antinomia precarietà/stabilità è già nella natura, che Bateson ricorda essere la fonte di ridondanze e metafore che guidano anche le nostre connessioni neuronali.  La liquidità del mare evoca instabilità, alberi giganteschi come la nostra Quercia Vallonea di Tricase ricordano che si dura nel tempo attraverso robuste radici..

Ma noi prendiamo fragili barche e sfidiamo il mare; non siamo fatti per stare al sicuro nel Porto. E sfidiamo la gravità volando, pur senza ali.

Negli oltre trent’anni di applicazione della Legge 180 in Italia – che ha sancito la chiusura dei manicomi e la nascita dell’assistenza psichiatrica sul territorio – nella trincea della guerra dei Centri di Salute Mentale, ho costruito contesti terapeutici 6); seguendo le coordinate di raccolta delle informazioni fornite da persone in sofferenza psichica, poi, ho maturato una metodologia multilivello.

In geometria qualunque costruzione è tridimensionale, ho lavorato dunque su più dimensioni per ciascun paziente. Sulla storia individuale, familiare, di rete sociale. Oppure sulla biologia del paziente, sulla sua storia, sull’equipe curante stessa. Gli esseri umani sono complessi e curarli non può esser semplice.

L’ultimo atto della tragedia psicotica è l’isolamento relazionale, il primo, per inversione, verso la rinascita, è la riconnessione, ma senza il contesto lavorativo la nostra opera è incompleta.

Perché appunto, il Lavoro, come scrive Gallino, non è merce.

Noi psico-operatori abbiamo pregato, ci siamo arrabbiati, abbiamo accusato, nelle Istituzioni, perché giungesse possibilità lavorativa come completamento della nostra opera di risanamento. Che non fossero strumenti assistenziali i bonus concessi, che fossero finalizzati a scongelare il tempo immobile degli psicotici, aiutandoli a cambiare stile e ritmo di vita mantenendo punti fermi.

Perché una persona in disagio psichico è precaria per definizione, deve esser aiutata a ricucirsi le ferite e a ricucire il proprio Mondo: l’insicurezza può arrivare persino alle percezioni (sentire cose che nessun altro sente, vedere cose che nessun altro vede…). Ma anche banali – e sempre più frequenti, non a caso – attacchi di panico fanno traballare paurosamente il proprio mondo.

È come se uno spiritello beffardo dunque stia cambiando gioco in corso di partita. Abbiamo le idee più chiare su cosa occorre fare per migliorare la salute mentale e ci applichiamo a costruire un contesto per gli psicotici in cui possano guarire (per esempio borse lavoro: feci un bel progetto nel 2002, per un maquillage della bruttezza della città). Invece… sorge un pauroso contesto: la crisi di sistema che può far ammalare i sani (e rigetta a mare il lavoro con gli psicotici di tanti anni). Vien da dire: avete visto? Ci aveste dato maggiori possibilità di aiutare i pazienti nel percorso lavorativo, avremmo imparato di più e adesso i “sani” avrebbero tratto profitto dalla loro tolleranza e solidarietà!

Tranne un circolo di happy few, per genialità o per risorse – in cui la precarietà può essere stimolo positivo, di qui anche l’incomprensione di elite socioculturali- vedere traballare il proprio mondo per i giovani significa uscire da un’infanzia e adolescenza finalmente discrete o buone (in Occidente); molti sono addirittura stati trattati come “piante di serra”, iperstimolati e poco allenati a resistere alle frustrazioni per arrivare in un ambiente esterno irto di difficoltà, che non permette di completare il processo di maturazione.

E i sintomi psichici di questo “non voler crescere”?

Ansia, disturbo del sonno, rabbia e depressione, ossessioni, fobie, dipendenze da alcol o sostanze e/o deformazioni della struttura di personalità, malattie psicosomatiche e pure fisiche. E peggio, suicidio!

La nuvola di variabili onnipresenti nella vita di ciascuno – l’aspetto fisico, la famiglia e le altre società intermedie etc. – potrà determinare sintomi in un variegato spettro, secondo come s’ingranano con le sequenze di temperamento, di contesto, di situazioni, di comunicazioni nel singolo individuo.

Ma in ogni età della vita subiamo processi di cambiamento psichico, che possono farci meglio integrare o diventare più fragili e destrutturati.

Dunque in ogni età della vita la precarietà, la perdita dei diritti e delle sicurezze, precipita in lesioni della salute mentale, colmando purtroppo la forbice tra “normali” e “fragili” dall’opposto della parte che desideravamo.

Come possiamo proteggerci? Innanzitutto smettendo di vedere il mondo come strutturato sull’economia.

Popper  ha «fatto a pezzi il marxismo volgare, ricondotto a un determinismo meccanicista e all’economismo»; Fromm inverte, sostenendo che lo scopo del socialismo è lo sviluppo della personalità.

Nel 2004 ho coniato “psicopolitica” 11) seguendo questi Maestri. Mai come in questa crisi di sistema è evidente il gioco dei fattori psichici sul Mercato stesso, che oscilla paurosamente anche secondo informazioni, opinioni, stati d’animo. Proteggiamoci però ricordando che la stessa idea della Precarietà può diventare un virus che amplifica il nostro stato d’animo provocando blocco e paura. O una rabbia che ci fa perdere capacità di tattica e strategia.

La Resistenza è dunque difesa anche per la nostra Psiche, ragionando in termini di salute mentale; resistenza nel mantenere il nostro mondo, sostenuto e illuminato dal confronto tra di noi e con i punti luminosi che ci hanno lasciato in eredità i percorsi delle loro riflessioni, il loro sapere, i loro valori, le loro buone pratiche.

  1. L’etimologia del termine è da “preghiera”, o “prece”. La dice lunga….
  2. Richard Sennett, «L’uomo sensibile», Feltrinelli 2001 in M. Capezzuto, «Psiche precaria», www.psicologodiroma.it
  3. Z. Baumann, «Intervista su Precarietà e Identità» (web)
  4. L. Gallino, «Il lavoro non è una merce», Laterza 2007
  5. G. Bateson «Per un’ecologia della mente», Adelphi 1976
  6. M. Buonsante «La costruzione di un contesto terapeutico in un Servizio Psichiatrico Territoriale», in M. Buonsante et Al. Psicoterapia e oltre: i Modelli relazionali nei diversi contesti, SIPPR, 1994
  7. T. Adorno, «Minima Moralia», Einaudi 1974
  8. M. Maj in «Crisi finanziaria, suicidi in aumento» di M. Pappagallo, Corriere della Sera, feb 2011
  9. K. Popper «The Poverty of Historicism», Feltrinelli, 1975
  10. E. Fromm «Marx’s Concept of Man», Hangar, 1961 in Enciclopedia, Voce Futuro, Einaudi 1977
  11. pubblicata in Senza paracadute, di Antonio Loconte, Adda Editore, Bari 2012

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