ATTI DEL CONVEGNO
OSTUNI – 24/25 OTTOBRE 1987
a cura di FRANCO COLIZZI
L’ADOLESCENTE E LA FAMIGLIA TRA APPARTENENZA ED AUTONOMIA
Maristella Buonsante
Trovo interessante l’esperienza del Centro d’interesse, utile anche rispetto alle strutture alternative tipo casa-alloggio e casa-famiglia, asse portante della legge 180/1978. Ho esperienza di queste strutture, che seguo con l’ottica sistemica, e ritengo importante il discorso della coop. Prisma perché permette una integrazione tra il sistema familiare e altri sistemi alternativi sociali all’interno di un sistema allargato. La pubblica Amministrazione è carente di risorse, ed esse possono essere integrate, in maniera non esclusiva, non escludente, non competitiva, non simmetrica, senza ricorrere (com’è tipico dei servizi pubblici) alla colpevolizzazione della famiglia. Quando si parla di terapia della famiglia, infatti, io parlo del pericolo enorme che la stessa parola può adombrare.
L’adolescenza è vista in genere come un pianeta incognito. Gli adolescenti cambiano e io, della generazione del ’68, vedo differenze sostanziali da certi punti di vista rispetto ai nuovi adolescenti. È importante essere aggiornati, perciò, ad esempio sui gruppi musicali che vanno adesso. Ricordo qui una metafora di mia madre, quella del riccio, animaletto molto simpatico ed utile in agricoltura, molto riservato.
Ogni perturbazione del suo ambiente lo porta a sventagliare le sue spine, in modo da sembrare molto più rude, complesso ed aggressivo di quanto non sia in realtà. È questa la sensazione che spesso provano i genitori di adolescenti, molti educatori, terapeuti, persone che si occupano di giovani. L’adolescente è visto come un individuo più difficile in generale, a parte gli adolescenti problematici (nevrotici, psicotici, sociopatici, psicosomatici, disadattati). La griglia teorica che usiamo come gruppo di Bari è l’ottica sistemica, e in particolare le tecniche relazionali ispirate al modello strutturale di S. Minuchin e a quello pragmatico-elementare di P. De Giacomo. Ma è bene fare una premessa.
L’adolescenza nell’ottica non sistemica.
Quando non si guarda alle relazioni, si isola l’individuo dal tutto, dal sistema o dai sistemi di cui fa parte e si sottolineano gli aspetti della personalità. Per i biologi è centrale la comparsa della pubertà ed il cambiamento dello schema corporeo. Per gli psicologi si tratta di un periodo estremamente importante per la maturazione della personalità, in cui compaiono nuovi schemi cognitivi (Piaget). Per la sociologia marxista l’adolescenza è una costruzione sociale di questo secolo, contrassegnata dall’emarginazione e dalla subordinazione forzata alle leggi del profitto; nelle epoche precedenti il bambino entrava direttamente nell’età adulta attraverso i riti di iniziazione, mentre oggi è tipico nelle società industriali e post-industriali un periodo molto più lungo (per un maggior apprendimento necessario, a livello universitario e post-universitario, e per una maggiore disoccupazione).
Per Freud l’adolescenza è la ripetizione di un periodo pregenitale: si riaccendono le pulsioni e i conflitti precedenti. Per Anna Freud l’adolescenza in sè e per sè è un disturbo evolutivo. Tutti gli studiosi sottolineano il carattere critico di questo periodo, dai diversi punti di vista. Una prospettiva di transizione è la nuova psicologia dello sviluppo, per la quale c’è un continuo sviluppo dalla nascita all’età adulta, un continuum e non fasi tipo fanciullezza, adolescenza, età adulta e vecchiaia.
L’adolescenza nell’ottica sistemica
Per l’ottica sistemica l’adolescenza non è un periodo (dai 12 ai 22-24 anni) di un individuo, ma una fase della famiglia. Osservare una famiglia dà più informazioni sugli interventi; è più utile conoscere la fase in cui si trova la famiglia che la diagnosi psichiatrica o l’etichetta individuale del paziente designato. Lo studio dell’adolescenza è dunque lo studio della famiglia in questa fase di sviluppo estremamente complessa, nella quale i figli iniziano il distacco da essa, accelerano i vari processi di autonomizzazione, di svincolo. In questo periodo cambiano le regole rispetto alla bipolarità sostegnoautonomia: si riduce il sostegno e aumenta l’autonomizzazione, il permettere il distacco. Il fatto che questo periodo sia considerato così critico universalmente lascia pensare che vi sia una situazione difficile per tutte le famiglie, in cui appare molto impegnativo il necessario cambiamento delle regole. Se poteva esser logico, ed auspicabile, che la mamma sapesse gli spostamenti del figlio di 9-11 anni, non lo è più per un figli o 17-18enne, che allora battaglierà per la sua autonomia. Il cocktail di sostegno ed autonomia dipende da una serie di variabili: contesto ambientale, personalità individuale, situazione familiare, eventi occasionali. E non c’è da meravigliarsi se alcune famiglie ce la fanno, ma al contrario se molte – come avviene – ce la fanno. È logico pensare che sia più facile l’incagliarsi dell’adolescente in una situazione di stallo con la famiglia che non permette l’autonomizzazione. Da un punto di vista relazionale, il fatto che un adolescente problematico raggiunga l’autonomia in genere lo rende asintomatico. Noi rifuggiamo dalle verità assolute, proprio nell’ottica sistemica, e crediamo al fatto che ognuno ha le sue verità, ogni famiglia è idiosincratica, è diversa da ogni altra, e c’è bisogno di fare continue ipotesi, da verificare sul campo, nel corso delle sedute e dell’intera attività professionale, cambiandole se occorre. Ciascuno ha le sue ragioni, il suo modo di vedere le situazioni e il cambiamento che il terapeuta riesce ad operare è proprio un cambiamento del modo di vedere la situazione della famiglia stessa. Le differenze fondamentali nel modo di affrontare i problemi umani da parte dell’ottica sistemica sono numerose. L’ottica sistemica non è solo terapia familiare ma si identifica con un modo di pensare e di agire diverso da quello cui siamo abituati tradizionalmente. Non a caso occorre un training di almeno cinque anni per allenarsi a cambiare abbastanza radicalmente il modo di vedere la realtà. La mente umana tende a guardare la realtà in spicchi, a guardare gli eventi in maniera lineare, come effetti di una causa o causa di un effetto. Così, dietro un disturbo adolescenziale come l’anoressia mentale si ipotizza facilmente un guasto biologico oppure si afferma, sempre linearmente, che la causa è nella famiglia. Nonostante la benevolenza e l’attenzione umana, si tenderà insomma a considerare ogni comportamento come prodotto da una causa x. Questa è la mentalità lineare. La diversità fondamentale dell’ottica sistemica è insegnare a guardare agli individui come parte di un tutto, di un sistema non tanto come individuo con i suoi pensieri e i suoi sentimenti, che pure ci sono, ma sopratutto privilegiando le relazioni tra i membri della famiglia, del sistema. Non osservo cosa sta in A, in B o in C, né vedo il comportamento sintomatico come causato dal comportamento dei genitori, ma mi concentro su ciò che sta tra A, Be C. Questo è l’equivoco più frequente della terapia familiare. Il sintomo è solo un comportamento comunicativo, va capito in quanto messaggio. Che vuol dire quel comportamento in quella famiglia? Il paziente designato è il portatore del disagio di tutta la famiglia· e inoltre, poiché tra i vari membri di una famiglia vi sono legami particolarmente intensi, una persona può essere aiutata prima di tutto dalla sua famiglia, che meglio di tutti – terapeuti compresi – la conosce. L’equivoco è dunque relativo al fatto che si può lavorare con le famiglie anche in maniera non sistemica. Il lavoro con le famiglie diventa sistemico solo se si coglie la circolarità, il fatto che il comportamento di ognuno è a sua volta causa ed effetto del comportamento degli altri, sicché solo aiutando tutti insieme si può aiutare il singolo. Per arrivare a decodificare il sintomo occorre lavorare sulle relazioni, evitando i malintesi e specialmente la colpevolizzazione massima della famiglia, della scuola e di altri sistemi.
Come lavoriamo con gli adolescenti
È essenziale il concetto di fase, di ciclo vitale della famiglia. Certo, ci sono differenze nel modo di lavorare con una famiglia che ha una figlia anoressica rispetto ad una famiglia con un adolescente che realizza delle fughe da casa. Ma vediamo le somiglianze tra le famiglie di adolescenti. Con una bella metafora, Minuchin ha detto che le persone in famiglia sono legate da dei fili. Se tale filo è molto lungo, l’adolescente può percorrere una strada anche lontana, può andarsene, sposarsi, stabilirsi a Milano, mantenendo un legame familiare molto forte: pur essendo presente, tale filo permette la libertà di movimento. In altre famiglie le persone sono legate da degli elastici, sicché, più i singoli tentano di allontanarsi, più rientrano in famiglia con violenza, per lo scattare dell’elastico che li riporta indietro. A volte questo lo esplicito alla famiglia. Pensiamo alle fughe da casa degli adolescenti che sono dei boomerang incredibili: poiché i ragazzi sono minorenni, scattano tanti di quei meccanismi per cui alla fine i fuggitivi si ritrovano in famiglia con molta meno libertà di prima della fuga. A causa dell’elastico, un comportamento che mira all’autonomia conduce ad un risultato opposto. La scuola di Palo Alto esprime ciò in questi termini: il problema è spesso costituito dagli stessi tentativi di soluzione. Ciò vale in particolare per i problemi umani irresolubili, della cui esistenza occorre prendere atto. Menandro diceva che “il tempo è il rimedio di tutti i mali inevitabili” e questo calza all’adolescenza, male umano a cui tutti dovrebbero rassegnarsi, genitori compresi.
Molto spesso, invece, non ci si rassegna. L’adolescente tenta la soluzione di scappare di casa, i genitori rispondono col ‘sempre di più’ (più il figlio trasgredisce, più i genitori sanzionano, reprimono) e si crea un circuito senza fine. C’è poi un aspetto molto comune nelle famiglie che entrano nella fase “tra appartenenza ed autonomia” e che riguarda non i figli ma i genitori. Nella nostra società i figli sono diventati estremamente centrali rispetto a 40-45 anni fa: penso ai genitori sempre impegnati ad accompagnare i figli ora a questo ora a quel tipo di corso (danza, sport … ). Chi ha perso veramente l’autonomia, allora, sono i genitori: essi non trattengono i figli in casa, ma, semplicemente, non sono più abituati alla loro autonomia. È dunque importante, nel periodo dell’adolescenza, fare interventi volti a far divincolare i genitori ed è questo il senso delle prescrizioni per i genitori che il nostro ed altri gruppi relazionali danno per far cambiare le regole di relazione.
Ad esempio, far uscire i genitori da soli la sera è molto banale ma efficace. La prima volta che ho sentito la Palazzoli-Selvini dirlo mi faceva un pò ridere: se i vostri figli vi chiedono dove andate rispondete che sono fatti vostri.
Questo modo di rispondere riecheggia quello tipico dei figli, che sembrano più autorizzati a dire “sono fatti nostri”. Così, il senso della manovra della nostra scuola (De Giacomo), dell’apparire uniti anima e corpo attraverso comportamenti di coppia, è quello – tra gli altri – di far liberare i genitori di un modo di essere genitori a tempo pieno che ora non va più bene.
Vi sono però famiglie con un conflitto molto esteso tra i genitori, i quali gridano, litigano ecc. e riconoscono da soli che in una situazione del genere il figlio “non può andare via”. Il figlio, infatti, vede uno dei genitori come più debole e non se la sente di abbandonare il posto di combattimento. In questi casi è utile segnare, ristabilire un confine generazionale ed è ,molto importante che i genitori passino ai loro figli il messaggio che sono autonomi e in grado di stare insieme anche litigando, senza arrivare a soluzioni catastrofiche o alla morte (e molto spesso gli adolescenti hanno questo tipo di paure). Nel modello pragmatico-elementare utilizziamo molto il mondo: così io in uno o due colloqui individuali cerco di entrare nel mondo dell’adolescente. Un trabocchetto in cui si cade spesso è quello di prendere le parti dell’adolescente che cerca l’autonomia ed appare come il più debole. Ciò è molto dannoso: per esperienza, è bene partire dalle richieste dei genitori, che vanno appoggiate anche quando appaiono rigide per l’adolescente.
Appoggiando l’adolescente contro i genitori non si ottiene assolutamente niente, anzi è proprio l’adolescente a non tornare più in terapia e a non far tornare più la famiglia. È invece molto utile far capire che noi, come terapeuti, vogliamo aiutare tutti insieme: così i figli possono poi criticare apertamente i genitori nelle sedute e il terapeuta può aprire canali comunicativi tra di loro perchè è divenuto chiaro ch’egli non vuol danneggiare i genitori nè dare la colpa ad alcuno.
Badare sempre prima ad appoggiare le richieste dei genitori e poi spingere alla contrattazione le due parti per ottenere norme più flessibili è una regola pratica estensibile ai vari tipi di operatori. La teoria della comunicazione ci dice poi che è utile incoraggiare delle norme chiare di convivenza. Una interessante prescrizione metaforica prevede il lavoro con le famiglie sullo spazio, al fine di aumentare l’individuazione dell’adolescente nella famiglia.
Si fa dunque parlare ciascun componente della famiglia su come viene utilizzato lo spazio in casa. Sarebbe opportuno che ogni persona avesse la sua stanza da letto e, quando ciò non è possibile, che potesse disporre almeno di un cassetto chiuso a chiave, di una porzione propria dell’armadio, di una parte della casa che veda trasferito in essa il concetto di autonomia, cosa molto facile ed anche accettata facilmente dalle famiglie perché intuitiva. A volte, però, l’adolescente non ha un suo spazio: magari ha una stanza ma i suoi cassetti sono privi di chiave oppure i suoi vestiti sono indossati da altri fratelli o ancora viene adoperato un guardaroba della famiglia dove tutti vanno e vengono. Queste situazioni sono tipiche delle famiglie invischiate, ma vi sono anche, in particolare nei ceti sottoproletari e più bisognosi (lo dico per esperienza), le famiglie disimpegnate. Queste danno, se vogliamo, molta autonomia, ma non danno alcun sostegno e la conseguenza è che il ragazzo nell’adolescenza non riesce a camminare sulle proprie gambe. In questo senso spazi come quello realizzato dalla cooperativa Prisma qui ad Ostuni, o simili, possono rivelarsi molto utili perché riassumono la funzione strumentale (T. Parsons) che la famiglia non riesce a svolgere, pur restando capace di svolgere la funzione affettiva: cioè i genitori amano i figli, ma li mandano fuori di casa a 10 anni alle 11 di sera per incapacità strumentale.
Il ruolo del Centro di interesse è dunque quello di allargare il sistema, di inserirvi altre persone che insieme, non contro la famiglia, possono insegnare come sostenere i figli, sostenendo essi stessi la famiglia.