Pubblicato da “Articolo21” giugno 2006
LA NUOVA FRONTIERA DELLA PSICHIATRIA E’ CURARE I PERVERSI
Il cosiddetto mobbing è l’abuso interattivo, istituzionale, la violenza psichica, sulla mente, che in Occidente sta sostituendo – prima erano affiancate?- quella fisica, sul corpo, resa più difficile dalle leggi e dalla tecnologia.
Da molti anni, me ne occupo, poiché mi occupo dei problemi di persone di ogni età, ceto sociale, di sesso differente, di culture differenti, in psichiatria, in psicoterapia.
Ascolto quando comunicano il loro dolore psichico, nelle mille sfumature del lutto, dell’ansia, dell’angoscia, della nostalgia, del rimpianto, del senso di colpa, della rabbia, del risentimento …
Così ho finito per occuparmi prelitteram del mobbing. Occupandomi per un trentennio di costruire un contesto terapeutico, cioè di curare la gente dal dolore che occupando la loro mente impedisce la loro realizzazione, la liberazione delle loro capacità e delle possibilità di benessere, mi sono incuriosita invece della costruzione di contesto patogeno.
Cosa è? E’ un sapiente contesto interattivo, fatto di sguardi, di parole, di ogni tipo di comunicazione -è dell’assenza di comunicazione- che fa ammalare nel corpo o nella mente, secondo la modalità con cui l’individuo reagisce.
Dunque, esattamente l’inverso del contesto terapeutico, allo specchio.
Il contesto comunicativo patogeno costruisce malati, rende sofferenti o pazzi o malati le sue vittime.
Mira ad isolare, a far impazzire, a destabilizzare, a far perdere le parti più nodali dell’identità.
Le regole cambiano di continuo, sicchè è veramente difficile individuare i veri livelli. Nella rete interattiva patogena, più ti dibatti, più sei stretto.
Dopo trenta anni di lavoro di trincea psichiatrico cominciamo a capire (ovvio solo per chi ha davvero lavorato in trincea), ciò che i torturatori sanno da sempre “ nella loro pancia”: come far impazzire con la tortura interattiva. E quanti “innocenti” spettatori! Davvero poco innocenti! Come chi sorbisce in televisione processi e delitti seriali, così come millenni fa assisteva- no a roghi e torture.
Certo, parto dall’dea, dalla convinzione, che assistere al dolore altrui, essere dalla parte dei torturatori e dei forti, mutarsi dunque in perversi, mira ad abolire il proprio dolore.
Da quanti millenni fingono in tanti di non sapere, non vedere, non sentire che l’altro è torturato, in famiglia, nelle relazioni d’amore, sul lavoro …
Il palestinese suicida, che implodendo fa esplodere i “nemici” è la metafora concreta per evidenziare ciò che l’Occidente fa a livello “mentale”?
E’ possibile difendersi?
Cosa Possiamo fare?
Provate a seguirmi, dunque nelle righe in cui, più a pennellate impressionistiche, che non in foto nitide, cercherò di descrivere il labirinto in cui può capitare a noi di essere rinchiusi.
Chi è il perverso?
Userò come metafora quella trasparente di un fiaba di Andersen, La Regina delle Nevi. Si presta a molti livelli interpretativi.
Anni fa l’ho proposta come lettura dell’autismo, a sua volta metafora della stessa condizione umana.
Prigionieri, infine, i perdenti, come Kay, nella fortezza di ghiaccio, metafora del proprio cuore congelato. La Regina delle Nevi benevolmente lo trasporta nella sua fortezza dove il cuore è inutile, dove il contesto è adeguato. Perché se riuscirà a scrivere … eternità … riceverà il mondo in dono.
La regina, (anch’essa prigioniera?) lo sequestra, perché era un bambino buono.
Lo aveva spiato tante volte, invidioso dell’amore, mentre giocava con Gerda, volteggiando sotto forma di stelle di ghiaccio chiusa nel “fuori”, dietro le loro finestre.
La gelida Regina chi ha scelto come preda, in realtà? Ha scelto lui, il piccolo Kay o la sua incorruttibile amichetta Gerda?
Lui. Kay, si perverte. Congela il proprio cuore.
“Diventa viola, il mondo cambia intorno a lui …”. Diventa brutto.
Non percepisce più la bellezza, le sue percezioni si deformano. Il mondo si deforma.
Neanche riconosce Gerda, l’amica sorella, la Salvatrice … E questo è il massimo del dolore per la sua amica-sorella.
Quando amiamo, che l’altro non ci ri-conosca è perdere noi stessi. Il perverso dunque si è perduto, perdendo l’Altro.
Diventa un altro mostro. Uno dei tanti. Uno degli scarti di DNA.
Un golem, un robot, un prodotto di Sauron. O del demonio. Del Male. Del Gelo.
Un’altra metafora della pre-perversione è il gioco della torre, in cui bisogna scegliere chi sacrificare per salvarsi. Nel gioco della torre, o assassino o vittima, non c’è scelta.
Al massimo vittima di sé, nel sacrificio.
Si esce solo volando dalla Torre della scelta omicida. Ma con molto senso della misura, se non sono vere ali, di struttura, ti conviene fare in fretta, o volare basso.
Ma non dimentichiamo l’antefatto, della fiaba: lo specchio del diavolo va in frantumi. Un frammento entra nell’occhio di Kay ed entra nel cuore.
Quale descrizione più accurata di questa, nell’antefatto della perversione?
Nella storia dei torturati ci sono punte acute, spine, in corona beffarda (oh,oh,si, sei proprio un re, un vip…), frammenti acuminati, lame aguzze, rostri d’aquila, strumenti di dolorosa penetrazione che discontinuano l’involucro, il guscio protettivo, la pelle, fino alla ironica blasfema pancia della Vergine (di Norimberga), forse, vera metafora concreta della relazione perversa. Una madre di legno, un padre inesistente o crudele.
Le lacrime, nel racconto di una mia paziente, cadevano all’alba, nella massa con cui preparava il pane. Nella sua seconda infanzia viveva in una fiaba. Attingeva l’acqua nel bosco, a piedi nudi, e correva perché aveva paura. La madre le diceva “ Tu sei la mia forchetta. T’ho fatto perche mi devi servire”.
La madre di una ragazza bulimica e depressa, nel corso di una seduta individuale di una terapia familiare, mi disse: “ Mi vergogno, ma non l’ho mai potuta vedere. Spesso la odio”. Madre e figlia si assomigliavano come due gocce d’acqua. Però la madre era grassa, la figlia con il suo ingozzamento e vomito successivo, rappresentava bene il dilemma amletico- assomigliarle o non assomigliarle ?- Ed era dunque letterale “non poterla vedere”?
Senza soluzione.
La figlia era del tutto inconsapevole del “segreto” della madre. E, quindi, del suo dilemma.
Alcuni Centri di Salute Mentale, ma in genere, i contesti di cura dei dolori dell’ “altro”, ed ancora più in genere ovunque vi “debba” essere “umanità” per obbligo, stanno diventando pericolosamente simili ad un contesto di mobbing in eccellenza.
Con i pazienti, con i colleghi.
Come si pratica?
Consiglio la lettura dell’ Arte di avere ragione, di Shopenhauer.
O del Diario di un Seduttore, di Kierkegard.
O di Cosetta, di V. Hugo.
Ma in tutte le fiabe e in letteratura, vi è una continua allusione alle reti perverse, in cui vengono stretti innocenti, sognatori, romantici, giusti …
La provocazione per destabilizzare l’ “altro”, il compagno, il collega, l’ex amico, è sottile, segreta, si avvale dei ferri del proprio mestiere. Della conoscenza dell’altro. Se l’altro ama i fiori, si può “avvelenare” la sua piantina, in cortile.
Si fa un mobbing “su misura” per così dire. Un mobbing griffato, di sartoria. Una violenza silenziosa, per avvilire, compromettere, provocare, destabilizzare, caricare di una rabbia impotente.
Tutti i canali vengono bloccati, per fare implodere l’altro come un palestinese …
D’altra parte un vero, ottimo mobbing è sempre una tortura interattiva.
Vista così la difesa cognitiva dell’imparare, del riflettere sul gioco del boia- tanto più se uno ha la ventura d’avere uno o più boia personali- può essere l’arma vincente!
Si può infatti, riconoscere le regole di costruzione del contesto perverso.
Scappare è impossibile.
Il diritto viene invertito, si trasforma in iniquità.
Le leggi stesse, e i loro protagonisti possono essere usati come strumento di tortura! Con sapienza …
Ad esempio solo il mobbizzato vero è rimproverato se non rispetta l’orario di servizio; mentre si incoraggiano tacitamente gli altri a “ truccare” le carte, esibendo il “trucco” abbastanza platealmente.
In modo che ciò che è in re ipsa cosa giusta, divenga strumento di disparità, di derisione, di rabbia, in un doppio legame continuo in cui non vi è via d’uscita, se rispetta l’orario è un fesso, se non lo rispetta è sanzionabile.
Questo vale, più o meno, per tutta l’intelaiatura delle regole del Contesto patogeno, che fa ammalare.
Il gioco è truccato. Il punteggio viene infatti attribuito “in corso di gioco”. E’ meglio che barare. Non c’è scampo per la vittima.
Il blocco delle capacità lavorative, la fa da padrone: si rende impossibile alla vittima di lavorare in modo proficuo.
Si criticano le iniziative, o si tolgono arbitrariamente i mezzi, si rende la vittima un “rompiscatole”, si crea la fama di un imbelle, di uno psicolabile, di un esagitato, di uno “ fuori del gioco”, pericoloso da frequentare.
E’ da rilevare che l’ avere una posizione di prestigio e potere non mette in salvo. In una manovra a tenaglia, dal basso e dall’alto contemporaneamente, non c’è forza che non possa essere frantumata …
Vi sono poi particolari intelaiature di reti: si passa da contesti patogeni elementari a contesti sofisticati, ad esempio quello paradossale, di falso mobbing.
Cioè il vero mobber fa apparire l’altro un torturatore. Per fortuna, non è da tutti …
Quindi il mobbing sapiente proviene dal confluire di competenze marziali e sul comportamento umano.
Si arriva così al mobbing d’eccellenza che tende a raggiungere un particolare culmine se la posta è elevatissima.
Cioè la vincita non è un attributo di potere, che so, denaro, cariche … ma è la conoscenza stessa.
Somiglia pericolosamente ad un gioco di ruolo perché deve diventare assai creativo: nel corso del gioco il “padrone” calcola gli handicap futuri sulle tue risposte.
La mossa che ti libera oggi- sei stato così creativo a capirla e a liberarti un pochino- domani verrà invertita ed utilizzata per un nuovo livello della costruzione di contesto patogeno.
Nata da menti perverse, torre di specchio che riflette la mente perversa del costruttore.
Che è un distruttore, poi.
Sarà per questo che il silenzio è d’oro e la parola è d’argento?
Certo, ogni tanto ti viene dato un coltello ed un cappuccio: vuoi diventare un boia? ti salvi! come? non ti piace essere un boia? Bè, torna sulla croce, allora.
Tanto, se poi accetti, diventi un clone di Sauron, o del perverso. Il nuovo padrone non ha cuore, ricordalo sempre! Sottomettersi è inutile, resistere aumenta il divertimento suo e del branco.
Il gioco non prevede vincita.
Qual è dunque la vera posta in gioco, in questo mondo delle parole?
Non il denaro, se non per via traversa, per lo stretto legame tra risorse e potere.
Non il potere, se non come mezzo per mantenere la propria identità.
La posta in gioco, dunque, in questo periodo storico, è la possibilità di costruire il proprio mondo e riuscire a non far vacillare la propria identità. Per questo il furto è sempre incluso ,nel pacchetto delle molestie. Furto di informazioni, di creatività, di identità, persino di amici.
Gran parte dei problemi, dunque, nascono per risparmiarsi le sofferenze; in questo i preti-di tute le religioni-hanno ragione.
Ho creato, recentemente un termine, psicopolitica, per indicare che più dell’economia, la gestione del comune -del bene comune- dovrebbe essere organizzato sul patrimonio conoscitivo italiano di trent’anni di conoscenza del comportamento umano. L’emergenza frequente nei perversi- in cu si segnala anche qualche donna, ormai nelle stanze segrete e, da poco, anche palesi, del potere- provoca la costruzione di contesti patogeni, con la rapidità consentita dal livello del potere raggiunto.
Tanti contesti patogeni, in clone o frattali, fanno un regime, ad immagine e somiglianza del perverso/a di turno.
Quindi, questo segna la necessità della nuova frontiera della psichiatria e della psicoterapia italiana. Lo studio, se non la cura dei perversi. E delle perverse.
Bibliografia consigliata:
Molestie morali di M.F. Hirigoyen, ed. Einaudi 2000.
Persecutori e vittime di F.Sironi, ed. Feltrinelli 1999.
M. Buonsante, prefazione a Regine d’argilla di M. Garibba, Gius. Laterza 2006.